Se ad un programma
domenicale di motorismo senti parlare di auto ibride, ultima tendenza
del mercato simile a un diktat, tu che fai? Ti fermi ad ascoltare,
per cercare di capire. E al programma televisivo, dopo avere cantato
le magnifiche sorti e progressive delle vetture che verranno, anzi
che sono già qui, a un certo punto debbono però ammettere che
“l'elettrico stenta”. Oh bella, te lo propongono in tutte le
salse, arrivano a dirti che salverà il pianeta, che se non lo
adotti, subito, adesso, sei un terrorista dell'ambiente, eppure
stenta? Sì, perché, malgrado “gli incentivi fino a 10mila euro, i
costi restano altissimi”, in sostanza per salvare la terra devi
ammazzarti tu. O, per dirla in modo più pratico, essere
politicamente corretti è un lusso, il silenzio pulito
dell'elettrico, ma sarà poi tutto quel pulito?, se lo possono
permettere ancora in pochi. Troppo pochi.
Occorre “farsi due
conti”, dice la trasmissione. E se ti fai due conti, capisci subito
che non ce la fai. Specie in questi tempi di pandemia economica, con
le attività che chiudono a decine, a centinaia di migliaia e i
ristori o ritorni arrivano poco e male mentre tasse, gabelle, imposte
arrivano subito, inesorabili, e senza scampo: devi pagarle, se no
l'Agenzia delle Entrate si scatena come se non ci fosse un domani.
Difatti non c'è, se paghi tutto a domani non ci arrivi, altro che
auto elettrica.
“Le postazioni per le
ricariche sono ancora poche”, ci fa sapere la trasmissione;
informazione a dire il vero pleonastica perché basta girare per
vedere, anzi non vedere, le stazioni di rifornimento elettrico.
Certo, si continuano a promettere più postazioni, ma per il momento
la situazione ricorda quella dei vaccini: arriveranno, certamente, ma
la settimana prossima. C'è poi da risolvere l'inconveniente dei
tempi di ricarica, ancora troppo lunghi e a questo dovrebbe ovviare
un nuovo scatto produttivo basato su modelli di batterie a ioni di
litio con tecnologia che sfrutta il silicio anziché la grafite.
Interessanti esperimenti sono in atto in Israele, ma si tratta ancora
di fasi sperimentali: le auto finora immesse commercio mantengono.
Ovviamente, tutto il disagio di una ricarica lenta.
Quello che non si dice,
invece, è che l'elettrico, gira che ti rigira, ancora dipende dalle
fonti tradizionali, quelle inquinanti: la questione è quantomeno
controversa, se è vero che ancora lo scorso dicembre il CEO di
Toyota Akio Toyoda ha criticato l'eccessiva spinta verso la
transizione elettro-green affermando che chi sostiene
l'elettrificazione di massa del traffico stradale non ha considerato
il carbonio emesso dalla generazione di elettricità oltre ai costi
massicci. “Una rivoluzione da centinaia di miliardi di euro che
lascerebbe il Giappone senza elettricità”. In altri termini, con
una riconversione troppo accelerata il Paese rimarrebbe senza
elettricità in estate se tutte le auto funzionassero con energia
elettrica, senza contare che l'infrastruttura necessaria per
supportare una mobilità composta esclusivamente da veicoli elettrici
costerebbe al Giappone tra i 14 e i 37 trilioni di Yen, vale a dire
tra i 110 miliardi e i 290 miliardi di euro. Toyoda ha aggiunto che i
veicoli elettrici a batteria sono più inquinanti dei veicoli a
benzina a causa della produzione di elettricità, ancora fortemente
legata ai combustibili fossili, che produce emissioni nocive e
tutt'altro che 'carbon neutral'. “Più veicoli elettrici
produciamo, più salgono le emissioni di anidride carbonica” ha
detto infatti il boss di Toyota obiettando che le emissioni totali di
CO2 di un'auto elettrica sono quasi il doppio rispetto a quelle
generate per la fabbricazione di un'auto termica o ibrida.
Affermazioni che hanno
scatenato, comprensibilmente, un vespaio, e che sono state aspramente
confutate da studi ed esperti, nessuno dei quali, tuttavia, ha potuto
mettere un punto definitivo alla controversia. Quello che comunque
sembra acquisito è che per non intossicare devi intossicare, però
da ricco, da elettrico, è più accettabile e pazienza se
quell'immenso continente a se stante che è la Cina apre centrali a
carbone a raffica, all'insegna del realismo: elettrifichiamo tutto,
però intanto premuniamoci e se il pianeta scoppia saranno affari di
Greta (la quale si guarda bene dall'attaccare il Partito Unico e il
sistema del Dragone, è molto più facile e redditizio far ricadere
tutte le colpe sull'Occidente che ha reso lei, ragazzina scioperata e
ignorante, milionaria). L'energia prodigiosa che non lascia scorie
non esiste, non si dà in natura, lo stesso atomo, criminalizzato in
modo delirante, non è senza scarti, sono le leggi dell'entropia e
l'elettricità non fa eccezione, non si crea dal nulla e non ritorna
al nulla. Le stesse batterie elettriche, giunte a fine ciclo,
presentano un serio problema di smaltimento, non molto diverso da
quelle dei dispositivi elettronici. Così è la natura, e la
tecnologia, per quanto avanzata, non può cambiare la natura.
La morale del programma,
alla fine, è la seguente: “L'elettrico è ancora un mercato per
ricchi”. Cosa anche questa ampiamente risaputa, tanto per non dire
che a questo punto, nella povertà di ritorno globale, l'auto
elettrica resta più di prima giocattolo per pochi. Tecnologico,
sofisticato, ma di pochi. Ma non importa, in chiusura arriva la
stoccata: “il parco macchine in Italia è vecchio”. E con ciò?
Dovremmo dunque sentirci in colpa? Vergognarci dei nostri catorci?
Tanto più se “non è ancora certo che gli incentivi resteranno”,
il che traduce la garanzia opposta? Per farci l'auto elettrica
dobbiamo vendere la casa?
Questo lo stato dell'arte
e allora dovremo dire che il progresso, per carità, è una così
bella faccenda ed è comunque inarrestabile: ciò che viene scoperto,
che viene inventato si fa, magari non avrà successo all'inizio ma,
con i dovuti aggiustamenti, l'idea verrà tenuta calda e rilanciata
fino a che non sfonda. Diciamo allora che la mania elettrica è
ancora prematura, che l'accessibilità è in tutti i sensi
proibitiva; ma diciamo, anche, che il concetto di obsolescenza nelle
automobili va preso con le pinze: tutto invecchia e anche le auto
fanno il loro tempo, però ci sono modelli che, fatto il loro tempo,
diventano immortali. È il caso delle auto d'epoca, o auto storiche,
che da passione si traducono in memoria, da questa in testimonianza,
da testimonianza in cultura. Se ci fossimo limitati a liquidare come
vecchi e superati tutti i nostri veicoli, oggi nessuno potrebbe
riproporre certe carrozzerie mitiche in rassegne, manifestazioni,
fiere, mostre, alimentando il circuito del motorismo storico. Un
giorno, forse, anche le auto elettriche esauriranno il suo ciclo,
sostituite dalle navicelle: chissà se avranno maturato abbastanza
carisma per passare alla storia, o se verranno ricordate solo per un
tentativo velleitario nell'epoca di un politicamente corretto sempre
più fuori dal mondo.